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“GIGI VENNERI NON PUÒ USARE IL NOME DEL SINDACO MELLONE E DELLA SUA LISTA”

Il giudice Katia Pinto, della prima sezione civile del Tribunale di Lecce, ha accolto il ricorso ex art. 700 del c.p.c. del sindaco Pippi Mellone, difeso dall’avvocato Marco Mellone, assistito dal collega Leonardo Massari, contro l’utilizzo del suo nome e della lista “Pippi Mellone Sindaco” da parte del consigliere comunale Gigi Venneri. Quest’ultimo, infatti, eletto con quella lista nel 2016 con 59 preferenze e poi unico componente dell’omonimo gruppo consiliare, ha continuato a usarne il nome anche dopo il suo passaggio all’opposizione, formalizzato il 10 febbraio scorso. Il consigliere Venneri, quindi, non potrà più utilizzare il nome del sindaco e della lista per contraddistinguere la sua attività politica ed è stato condannato al pagamento delle spese di lite (oltre 2 mila 500 euro).
Nell’ambito più generale della tutela dei segni distintivi, il provvedimento emesso ieri – citando una recente sentenza della Cassazione – ricorda che in relazione ai partiti politici la tutela dell’identità, riassunta nella denominazione e nei segni distintivi, rinviene il suo fondamento negli articoli 2, 21 e 49 della Costituzione ed esprime l’esigenza di evitare, proprio in relazione al dibattito pubblico, confusioni quanto agli elementi che li caratterizzano come centri autonomi di espressione di idee e di azioni. Per il giudice è “indebito”, quindi, l’utilizzo da parte del consigliere Venneri, a partire da febbraio 2020, del nome e della lista del sindaco Pippi Mellone, considerata la sua esplicita dissociazione dalla maggioranza, perché ciò ha generato nella collettività “confusione circa la riconducibilità al sindaco Mellone di affermazioni, determinazioni o posizioni politiche assunte dal resistente quale capo e unico componente del gruppo “Lista Pippi Mellone Sindaco”, ma in opposizione al primo cittadino originariamente sostenuto”. La richiesta di cessazione del fatto lesivo da parte del sindaco Mellone è fondata anche perché, argomenta ancora il giudice, il consigliere Venneri non ha dimostrato “l’impossibilità giuridica – statutaria o regolamentare – di formalizzare il suo passaggio all’opposizione assumendo una diversa identità consiliare, onde salvaguardare la funzione identificativa del nome altrui, evocativa di ideali e iniziative politiche non più condivise”.
Per questi motivi, dunque, il Tribunale ha accolto il ricorso di Pippi Mellone e ha ordinato a Gigi Venneri di astenersi dall’uso del nome del sindaco e della lista “Pippi Mellone Sindaco”, condannandolo al pagamento delle spese di lite. Nello stesso tempo si è riservato la decisione di merito rispetto al risarcimento del danno chiesto dal primo cittadino.
“La pronuncia – è il commento di Pippi Mellone – sancisce un principio sacrosanto che nessuno, a parte il consigliere Venneri, si sognerebbe mai di calpestare. Peraltro, risulta a dir poco kafkiano che un soggetto difenda l’appartenenza al gruppo consiliare e nello stesso tempo getti fango sullo stesso, come abbiamo potuto facilmente dimostrare con i titoli dei giornali e dei siti web di questi mesi. Attendo con fiducia anche la decisione nel merito e il pieno ristoro del danno che ho subito. Intanto grazie ai presidenti di commissione che mi sono stati accanto in questa battaglia, ai componenti della maggioranza e in particolare al presidente del Consiglio Andrea Giuranna, che ha fatto scudo difendendo un principio, la mia persona, la mia famiglia e tutta la maggioranza”.
“Dopo mesi di calunnie, diffamazioni e discredito, anche professionale, nei miei riguardi – aggiunge il presidente del Consiglio Andrea Giuranna – il Tribunale Civile di Lecce ha riconosciuto l’uso indebito del nome del Sindaco da parte del consigliere Venneri. Invito nuovamente lo stesso a fare il cambio del gruppo consiliare, da me già sollecitato (evidentemente in modo legittimo) in tempi non sospetti. Da più parti mi furono chieste le dimissioni alla luce di un presunto errore di interpretazione delle norme, addirittura costituzionali. Mi rincuora il fatto, ma non ho mai avuto alcun dubbio, che la stessa interpretazione oggi sia stata pienamente tutelata da un giudice”.